Ho scattato questa fotografia qualche settimana fa mentre ero in vaporetto per andare al lavoro. In questi giorni, al tempo del COVID-19, mi sono dedicata a mille cose, anche alla stesura di un breve racconto e ho avuto la possibilità di rimanere incollata ad iPad per ore. Sono così capitata felicemente nella news dedicata ad una mostra su John Ruskin, che purtroppo non sono riuscita a vedere, e che è stata organizzata dalla Fondazione dei Musei Civici Veneziani. Le immagini degli acquarelli dello scrittore e critico d’arte vittoriano sono però disponibili in internet ed è un piacere perdersi tra i suoi disegni e appunti.
Venezia entusiasma ma è così anche per i suoi beni artistici e storici. E’ il caso della Ca D’Oro Galleria Franchetti, un tempo residenza aristocratica, che conquista anche una veneziana come me, abituata a vederla ogni giorno dal battello, linea 1. Una foto sicuramente non pensata ma utile in quesi giorni in cui si è casa per ricordare quella mattina in cui passavo davanti alla Ca d’Oro, guardando il Canal Grande e quella gondola con il suo gondoliere. E, così deve essere stato anche per un genio del calibro di John Ruskin che si era invaghito della Ca’ d’Oro, tanto da realizzare un magnifico acquarello. Quando sono nati nell’Ottocento i dagherrotipi l’artista deve aver fatto i salti dalla gioia, gli era possibile ricordare quello che la memoria, nel tempo, ,gli avrebbe fatto lentamente dimenticare, i dettagli ed i particolari.
Per Ruskin era dunque straordinario osservare una Piazza San Marco quasi vuota, la Ca’ d’Oro in fase di restauro, il Canal Grande come una grande e silenziosa via d’acqua, il Bacino di San Marco con i velieri alla fonda. Una Venezia della seconda metà dell’Ottocento che rivive nei dagherrotipi da lui acquistati e che gli hanno permesso di portare sempre con sé una parte di quella perfezione e bellezza folgorante che lo avevano colpito,
John Ruskin, Ca’ d’Oro Venezia, Matita, acquarello, tempera su carta grigia
Lo scrittore ed artista è stato in grado di celebrare la bellezza eterna di Venezia cogliendola nel suo afflato decadente. A ricordarlo è stata la mostra “Le pietre di Venezia”, ritenuta un “canto alla magnifica fragilità della città lagunare” ospitata qualche anno fa a Palazzo Ducale.
“Vorrei tentare di tracciare le linee di questa immagine prima che vada perduta per sempre, e di raccogliere, per quanto mi sia possibile, il monito che proviene da ognuna delle onde che battono inesorabili, simili ai rintocchi della campana a morto, contro le pietre di Venezia” (John Ruskin, The Stones of Venice)
Non ci siamo mai fermate così attentamente davanti ad un palazzo veneziano. Affascinante questa simmetria con Ruskin. Solitamente quando si vive in un luogo e si fa sempre lo stesso percorso non ci si concentra su questi particolari. Venezia dà sempre tanto, se solo la si riesce a osservare con lo sguardo giusto.