A pochi passi dal museo del settecento Ca’ Rezzonico, campo San Barnaba e Ca’ Foscari si trova il campiello dei Squelini. Un tempo noto come Campiello dei Scudeleri. E’ qui che si trovava una fornace di fabbricanti di scodelle. In realtà il campiello dei Squellini è un luogo molto caratteristico. Oltre al campiello ci sono una fontana, due librerie, un negozio di vestiti, una galleria di vetro di Murano, un plateatico di un ristorante e anche di un bar. Si intravedono palazzi e giardini, custoditi da cinte murarie e da vecchi rossi mattoni.
Venezia, dagli anni ’80, ospita, en plen air, la grande opera musiva di Marcello Pirro (foto dell’articolo). Si tratta di pannelli, realizzati con mosaici ed elementi d’arte povera, realizzati dall’artista, originario della Puglia ma che ha scelto di vivere anche a Venezia. Lo spazio urbano è così interpretato sotto una nuova chiave di lettura dall’artista che ha donato alla nostra Città la sua opera.
Pannelli dai colori accesi, forti, sensuali e che rispecchiano il suo animo interiore. I mosaici di Pirro segnano l’immortalità della storia dell’arte pugliese-veneziana ma anche l’immortalità dell’arte che si continua a scoprire nella nostra città e che è a disposizione del mondo. Il lavoro del poeta-artista del contemporaneo è concepito come opera pubblica, proprietà della Città di Venezia e del sestiere di Dorsoduro. In realtà il suo doveva essere parte di un lavoro musivo collettivo, un mosaico di Guidi, un secondo di Vedova ed un terzo di Ortega.
Usando le parole del maestro, che tutti vedevamo passeggiare in campo Santa Margherita, riconoscibile da lontano per via del suo inseparabile berretto rosso, “quel Campiello diventava un modello interdisciplinare per individuarne altri per ridatare la città già sderenata”. E, mai parole furono più vere.